La pizza al formaggio: l’altra faccia della Pasqua
La festa di primavera, ha un lato salato e uno dolce. Vi sveliamo la ricetta in tutti i suoi numerosi eteronimi – torta al formaggio, crescia, crescia brusca, pizza de cacio, ciaccia col formaggio – ognuna con la sua identità ben geolocalizzata. Vietato perdere tempo: il momento per prepararla è adesso
Il calendario per prepararla è rigorosamente in base “a quando cade Pasqua” (utilizzare il verbo “cadere” per indicare certe festività è un vezzo divertente del vocabolario italiano), il giorno in cui ci si rimbocca realmente le maniche è solitamente il giovedì santo. Ma la ricetta della pizza di Pasqua con dei suoi numerosi eteronimi – pizza al formaggio, torta al formaggio, crescia, crescia brusca, pizza de cacio, ciaccia col formaggio, ognuna con la sua identità geolocalizzata, ognuna con un libro di segreti e cultura da raccontare – si svela con il suo elenco di ingredienti nei quaderni domestici, vergati da scritture eleganti di cui si è perso l’esercizio. Con un filo conduttore: la settimana santa è la sua settimana santa, ovunque la si prepari.
La storia della pizza al formaggio, riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole quale PAT (prodotto agroalimentare del territorio), unisce in una simbolica megaprovincia la pancia d’Italia, avvolgendo parte della Toscana e del Lazio con l’Abruzzo e il Molise, sigillando così il cuore pulsante che di questa tradizione si è fatto orgogliosa bandiera, l’Umbria e le Marche, non senza qualche dibattito sull’origine della preparazione. Alcune fonti fanno risalire la storia della pizza di Pasqua o pizza al formaggio agli antichi Umbri, che già conoscevano e mettevano in pratica alcuni rudimenti di fermentazione e lievitazione: lavorando ingredienti simili a quelli attuali ottenevano una specie di schiacciata condita, cotta nei forni d’argilla e pietra, chiamata mefa spefa. Questa è citata nelle Tavole Eugubine del III-II secolo a.C., redatte in caratteri e lingua umbra, etrusca e latina, considerate dal linguista Giacomo Devoto (la metà degli autori del più storico vocabolario di lingua italiana, il Devoto-Oli) un importante testo rituale dell’antichità classica.
Eppure l’archetipo della torta al formaggio contemporanea è stato tramandato per merito degli antichi Romani, che pur soggiogando le popolazioni preesistenti ebbero l’accortezza, in parte dettata dalla curiosità, di annotare più o meno minuziosamente usi e costumi dei vinti. A scriverne in dettaglio per la prima volta fu il romano Marco Porcio Catone detto il Censore, che ne riporta ingredienti e preparazione nel suo trattato più celebre, il De Agri Cultura, un testo che oggi suona paradossalmente rivoluzionario perché sottolinea la superiorità dell’agricoltura (e delle conoscenze rurali) sugli altri mestieri; cosa che nell’antica Roma della allora nascente classe equestre, dedita principalmente al commercio, sembrava puro conservatorismo imbeccato dalle gentes patrizie. Nel suo compendio di brevi saggi sulla potenza agraria, Catone il Censore esalta la preparazione di quella variante antica della pizza al formaggio, dal sapore speziato che poi il tempo avrebbe equamente separato tra dolce e salato. Perché sì, ne esistono due varianti di pizza di Pasqua: quella salata al formaggio e quella dolce, da consumare per dessert e per peccato di gola. Arricchita di spezie in proporzioni segrete, la pizza dolce è il mistero glorioso di resurrezione che i fornai del Ternano conservano rigorosamente sotto chiave, che si sublima in un accompagnamento lussurioso: i pezzi irregolari del cioccolato dell’uovo di Pasqua.