Libia: oggi a Roma la firma dell’accordo di pace tra le comunità di Murzuq
Si tiene oggi a Roma la firma dell’accordo “La Pace è buona” per il rientro degli sfollati e la convivenza pacifica tra gli Aheli e i Tebu di Murzuq, città situata nel sud-ovest della Libia, importante centro abitato nei pressi dei giacimenti di El Feel e Sharara, quest’ultimo il più grande del Paese nord-africano. L’intesa vede la mediazione dell’Italia e, in particolare, dell’organizzazione non governativa Ara Pacis Initiatives for Peace. Già il 17 ottobre 2019, su richiesta dei notabili Aheli e Tebu di Murzuq, Ara Pacis aveva mediato a Roma la firma di una “Dichiarazione di buone intenzioni” tra le due comunità, allo scopo di avviare un processo di ripristino della fiducia e sostenere il rientro degli sfollati. Soddisfatte le condizioni stabilite a Roma, il 22 giugno 2022 le parti, con l’approvazione del Consiglio presidenziale libico, si erano incontrate nella sede dell’ambasciata italiana a Tripoli alla presenza dell’ambasciatore Giuseppe Buccino, per firmare il loro impegno a raggiungere un accordo finale a Roma.
La firma di oggi si tiene nel quadro di incontri che dureranno fino a domani, 14 dicembre, e che vedono la partecipazione delle delegazioni dei notabili Aheli e Tebu nominate dal Consiglio presidenziale e dal Governo di unità nazionale (Gun) e autorizzate dal Comando militare di Murzuq, della Commissione per il rientro degli sfollati e la convivenza pacifica a Murzuq nominata dal Consiglio presidenziale e dal Gun, del vice primo ministro del Gun con delega per il sud, Ramadan Ahmed Boujnah, e del membro del Parlamento libico in rappresentanza del gruppo dei parlamentari del Fezzan, Ibrahim Musbah al Hadi. Alla cerimonia di oggi è prevista poi la presenza del direttore centrale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente presso il ministero degli Affari esteri, Alfredo Conte, e del presidente del Consiglio libico per i diritti umani, Oumar Hijazi. Nei prossimi giorni, il Consiglio libico per i diritti umani sarà inoltre impegnato in una serie di incontri promossi da Ara Pacis con la quale è in procinto di siglare un memorandum di intesa per lo sviluppo di programmi e iniziative incentrati sul rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo.
I firmatari dell’accordo sono, da un lato, gli Aheli, gli abitanti originali di Murzuq, di origine araba e non tribale, e i Tebu, “Popolo della Roccia”, un popolo di pastori e guerrieri originari dei monti del Tibesti. Si dice che la loro regione di provenienza principale fosse Bilma, a nord del lago Ciad, e la loro antica capitale in Libia fosse Tazerbu. Questi abitano il nord del Ciad, il Niger nord-orientale, il Sudan nord-occidentale e la Libia meridionale – nello specifico Quatrun, Sebha, Kufra e Murzuq. Un’area che, sin dal 2011, assiste ad un confronto ostile tra i Tebu e diverse tribù arabe per il controllo della regione. In generale, il sud della Libia e la stessa Murzuq rappresentano uno snodo cruciale per il contrabbando di merci come droga e sigarette, oltre che per il traffico di esseri umani.
La rilevanza di Murzuq, poi, è da legare soprattutto alla sua vicinanza ai giacimenti di El Feel e Sharara. Il primo è gestito dalla compagnia petrolifera statale libica National Oil Corporation (Noc) attraverso la società Mellitah Oil and Gas Company, compartecipata paritariamente con Eni. Risale al luglio scorso la notizia sulla ripresa delle attività di produzione e pompaggio ad El Feel, con tassi di produzione previsti di circa 70 mila barili al giorno. Sharara, invece, è il più grande giacimento petrolifero della Libia e da solo vanta una produzione di circa 300 mila barili al giorno. Il giacimento è gestito dalla joint venture Akakus, che riunisce la libica National Oil Corporation, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil.
Come spiega Ara Pacis, vista l’assenza di alternative in un’area geografica storicamente trascurata, la competizione per le risorse illecite nel sud della Libia ha rovesciato la pace sociale e ha permesso alle divergenti agende, nazionali e internazionali, di opporre le comunità l’una contro l’altra allontanando il cammino della pace. La presenza dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), guidato dall’uomo forte di Tobruk Khalifa Haftar, è stata, da una parte, bene accolta dalla popolazione stremata dall’abbandono e dall’assenza di sicurezza e dagli “opportunisti in cerca di potere e denaro”. Dall’altra, però, è stata osteggiata per l’adesione da parte di una tribù avversaria all’operazione di Haftar Karama, lanciata nel gennaio 2019 con l’obiettivo di “proteggere il sud-ovest da elementi terroristici di Al Qaeda, Stato islamico e banditi”. Questa situazione si è manifestata in maniera particolare nella città di Murzuq, dove i crescenti dissidi tra le comunità locali Tebu e Aheli sono culminati nel febbraio del 2019 con l’assedio della città da parte dell’Lna.
L’offensiva di Haftar ha quindi “gettato i semi per l’emergere e il riemergere di vecchi e nuovi conflitti, rimostranze storiche e ferite antiche, e ha resuscitato dolori e ingiustizie non affrontati, creando un terreno fertile per ulteriori cicli di violenza e di vendetta”. Il bombardamento del 4 agosto 2019, condannato a livello internazionale, oltre ad uccidere oltre 40 tebu nella città di Murzuq, ha acuito le ferite e infiammato il conflitto sociale tra le comunità della città. Si stima che 17.320 persone, o quasi il 60 per cento della popolazione di Murzuq, siano fuggite, lasciando solo un piccolo numero di residenti in alcune aree della città. L’accordo del 17 ottobre 2019 mediato da Ara Pacis è stato il primo passo verso la riconciliazione globale tra le comunità Tebu e Aheli di Murzuq e ha consentito l’avvio di un processo condiviso mirato ad evitare la recrudescenza della violenza e a costruire fiducia, al fine di creare le condizioni favorevoli per la sicurezza, la pace e lo sviluppo, elementi essenziali per affrontare le minacce del terrorismo, del jihadismo e del traffico di esseri umani e consentire interventi economici e di investimento umano che offrano opportunità educative e professionali a migranti e popolazione locale.
Fonte: Agenzia Nova
Ucraina, Parolin: “Il Vaticano è un luogo adatto per il dialogo”
Il segretario di Stato ha ribadito: “Offriamo uno spazio in cui le parti possano incontrarsi. Sta a loro individuare la metodologia di lavoro e i contenuti”. Poi ha sottolineanto che la “Santa Sede, fin dall’inizio, sta facendo di tutto, promuovendo tutte le iniziative che possiamo”
Il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, ai margini di un evento dedicato a Giorgio La Pira, a Roma, ha parlato della guerra in Ucraina, lamentando che “ad oggi, non ci sono molte condizioni per dialogare” e ribadendo la disponibilità della Santa Sede ad offrire un tavolo di incontro tra le parti: “Crediamo che il Vaticano potrebbe essere terreno adatto per questo. Abbiamo cercato di offrire possibilità di incontro per tutti e di mantenere equilibrio in tutto questo. Ci siamo riusciti? Difficile saperlo, ma credo che la volontà è quella di offrire uno spazio in cui le parti possano incontrarsi e avviare dialogo senza precondizioni”. Poi ha spiegato: “Dobbiamo sperare contro ogni speranza anche se per ora non vedo spiragli positivi”
“Una pace che nasce dalla vittoria costerà un prezzo enorme”
“Si tratterà”, ha aggiunto Parolin in caso di un cambio di scenario, “nel momento in cui dovessero incontrarsi, di stabilire una metodologia di lavoro e di dare contenuti a questa metodologia”. Le parti sembrano più interessate a perseguire la vittoria che la pace. “Una pace che nasce dalla vittoria, costerà un prezzo enorme. Non vorrei si realizzasse quello che dicevano gli antichi romani: ‘Ubi desertum faciunt, ibi pace appellant’. Noi vogliamo una pace dove fioriscono diritti e giustizia”, ha osservato. Parolin si è soffermato anche sulla commozione del Papa a piazza di Spagna: “In tanti sono rimasti colpiti dalla sua commozione vissuta in profondità. Riuscirà a fare breccia? Speriamo, a volte le lacrime riescono a smuovere anche i cuori induriti. Ma, ad oggi, non si vedono sviluppi degni di menzione”.
Fonte: Sky TG24
La guerra in Ucraina al centro dell’udienza del Papa ai vescovi Ue
Il delegato Cei Crociata, vice presidente Comece: «Preoccupazione emersa in maniera insistente, con i drammi che si consumano. Ci ha detto: fate tutto il possibile anche voi»
La guerra in Ucraina: questa la «preoccupazione più forte» emersa «in maniera insistente» nell’udienza concessa questa mattina, 12 dicembre, da Papa Francesco alla presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece). A riferirlo all’Agenzia Sir è il delegato Cei Mariano Crociata, vice presidente della Comece, che evidenzia la centralità del tema, «anche nella durata della conversazione», con il riferimento ai «drammi che si stanno consumando. Il Santo Padre ci ha detto: “Fate tutto il possibile, anche voi”», aggiunge.
In particolare, al centro del colloquio del Papa con i vescovi europei c’è stata «la situazione di coloro che sono direttamente vittime della guerra, i morti e i feriti, le famiglie colpite, ma anche la condizione di milioni di persone che vivono senza acqua né luce, in una desolazione che stringe il cuore di tutti e del Santo Padre. La popolazione sempre più disagiata di fronte a un inverno che si presenta feroce per chi lo deve passare in quelle condizioni». Riguardo a quanto concretamente la Comece può fare, per rispondere anche all’invito di Papa Francesco, Crociata ha delineato in particolare tre piste di azione: la prima è a «un livello episcopale», creando e facendo opinione nelle Conferenze episcopali. La seconda pista è poi «il dialogo con le istituzioni a tutti i livelli laddove questa preoccupazione è obiettivamente molto sentita». Da ultimo, l’azione di «sensibilizzazione dell’opinione pubblica per tenere viva l’attenzione».
Fonte: Roma Sette
Dal “Natale solidale in libreria” uno sguardo sul mondo
La testimonianza di Maria, ucraina di Leopoli, accolta in una parrocchia e impegnata come volontaria nell’iniziativa promossa dal Laboratorio di ecologia integrale della Caritas romana.
Maria ha lo sguardo triste ed assonnato: sono almeno 10 minuti che non passa nessuno. Dopo il primo attivarsi per sistemare tutto quello che c’è da sistemare, dopo aver mostrato orgogliosa le foto della bellissima figlia 16enne a Davide qualche minuto fa, adesso sono 10 minuti che non passa nessuno. E alle 9 del mattino dell’8 dicembre lo sguardo si perde un po’ nel vuoto, in chissà quali pensieri.
Maria sta facendo la volontaria per “Natale Solidale in Libreria”, l’iniziativa che Caritas Roma promuove dal 7 al 24 dicembre in due librerie di Roma per sensibilizzare sul tema dell’ecologia integrale.
A Roma – mi racconta – è tornata da qualche mese: ci aveva vissuto per qualche anno, sua figlia è nata qui; poi, dopo la nascita della figlia era tornata a L’vov.
Quando l’Ucraina è stata invasa dall’esercito russo, anche se L’vov non era in particolare stato di pericolo, ha scelto di partire di nuovo per l’Italia; lei e la figlia, mentre il marito, come la legge impone, è rimasto in Ucraina.
Maria e la figlia adesso vivono insieme ad una famiglia che si è resa disponibile all’accoglienza nell’ambito del Centro di Accoglienza Straordinaria coordinato dalla Caritas; e alla proposta di Francesca, la tutor che la accompagna in questa avventura, di partecipare al “Natale Solidale in Libreria” ha reagito con disponibile entusiasmo.
Ed ecco che finalmente una signora, anche lei straniera, si avvicina per chiedere che le vengano incartati due libri per i gemelli della famiglia per cui lavora; salutata la signora Davide si interroga su quante lingue sappiamo, qualora venissero al banchetto acquirenti stranieri … “Io parlo l’ucraino, il polacco, e naturalmente so anche il russo, ma quello non lo voglio parlare più…” e adesso nello sguardo triste non c’è solo la noia delle poche persone che chiedono un pacchetto…
Fonte: Caritas Roma
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