papa-francesco-al-popolo-ucraino

Il coraggio nei tempi nuovi: la Chiesa di Francesco non tace più

Nell’Angelus il papa rilancia lo stile cristiano di vicinanza alla vita della gente stretta ormai da difficoltà e pessimismo crescenti in varie parti del mondo.

“Vedo che ci sono bandiere dell’Ucraina. Lì, in Ucraina, continuano i bombardamenti, che causano morti, distruzione e sofferenze per la popolazione. Per favore, non dimentichiamo questo popolo afflitto dalla guerra. Non dimentichiamolo nel cuore e con le nostre preghiere”. Queste parole a conclusione della recita dell’Angelus che segnano il 61° intervento di Francesco sulla guerra in Ucraina dall’inizio del conflitto certificano il cambiamento positivo rispetto allo stile felpato e silenzioso della Chiesa di Pio XII.  Affidato ai sotterranei della diplomazia quello stile ha dato luogo a tante polemiche dando un’immagine di papa silenzioso e intimidito incapace di fronteggiare il nazifascismo persecutore degli ebrei. Le polemiche si sono riaccese in occasione della recente pubblicazione del volume dello storico David Kertzer dal titolo “Un papa in guerra”.

L’autore attingendo ai documenti segreti del Vaticano rimasti segreti fino al 2020 quando il papa li ha aperti agli studiosi , sostanzialmente conferma la sensazione di un Pio XII interessato più alla sopravvivenza della Chiesa che alla questione umanitaria in generale. A differenza di quel tempo burrascoso, ora in un contesto altrimenti burrascoso e incerto della geopolitica messa a soqquadro dalla guerra di aggressione della Russia alI’Ucraina, il papa parla, denuncia, propone, sollecita per spingere in ogni modo verso la pace e la giustizia. La Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II ha cambiato stile e si è schierata apertamente dalla parte dei poveri, emarginati, perseguitati di ogni specie.

Anche oggi Francesco ha testimoniato l’attenzione e la vicinanza alla gente prigioniera di emergenze vitali sempre più numerose. “Seguo con preoccupazione – ha detto dalla finestra del suo studio – quanto sta accadendo in Ecuador. Sono vicino a quel popolo e incoraggio tutte le parti ad abbandonare la violenza e le posizioni estreme. Impariamo: solo con il dialogo si potrà trovare, spero presto, la pace sociale, con particolare attenzione alle popolazioni emarginate e ai più poveri, ma sempre rispettando i diritti di tutti e le istituzioni del Paese”.

E poi ha aggiunto: “Desidero esprimere la mia vicinanza ai familiari e alle consorelle di Suor Luisa Dell’Orto, Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, uccisa ieri a Port-au-Prince, capitale di Haiti. Da vent’anni suor Lucia viveva là, dedita soprattutto al servizio dei bambini di strada. Affido a Dio la sua anima e prego per il popolo haitiano, specialmente per i piccoli, perché possano avere un futuro più sereno, senza miseria e senza violenza. Suor Luisa ha fatto della sua vita un dono per gli altri fino al martirio”.

Il papa ha voluto incoraggiare anche i cattolici a cambiare il proprio stile di vita, uscendo dall’indifferenza per stare accanto a chi è nel bisogno, allo stesso modo di Gesù. Con la caratteristica della pazienza e della mitezza, aperti al dialogo con tutti per favorire un mondo migliore per tutti. “Il Vangelo della Liturgia di questa Domenica ci parla di una svolta”, da una mentalità trionfalista, vendicativa, a una mentalità di pazienza, dialogo e di servizio.  E’ un modo di non essere cristiani all’acqua di rosa, ma decisi.

Il “fuoco” che Gesù è venuto a portare sulla terra è un altro, è l’Amore misericordioso del Padre. E per far crescere questo fuoco ci vuole pazienza, ci vuole costanza, ci vuole spirito penitenziale. “non la via della rabbia, ma quella della ferma decisione di andare avanti, che, lungi dal tradursi in durezza, implica calma, pazienza, longanimità, senza tuttavia minimamente allentare l’impegno nel fare il bene. Questo modo di essere non denota debolezza ma, al contrario, una grande forza interiore. Lasciarsi prendere dalla rabbia nelle contrarietà è facile, è istintivo. Ciò che è difficile invece è dominarsi”.  “Adesso domandiamoci: noi a che punto siamo? A che punto siamo noi? Davanti alle contrarietà, alle incomprensioni, ci rivolgiamo al Signore, gli chiediamo la sua fermezza nel fare il bene? Oppure cerchiamo conferme negli applausi, finendo per essere aspri e rancorosi quando non li sentiamo? Quante volte, più o meno consapevolmente, cerchiamo gli applausi, l’approvazione altrui? Facciamo quella cosa per gli applausi? No, non va. Dobbiamo fare il bene per il servizio e non cercare gli applausi. A volte pensiamo che il nostro fervore sia dovuto al senso di giustizia per una buona causa, ma in realtà il più delle volte non è altro che orgoglio, unito a debolezza, suscettibilità e impazienza. Chiediamo allora a Gesù la forza di essere come Lui, di seguirlo con ferma decisione in questa strada di servizio. Di non essere vendicativi, di non essere intolleranti quando si presentano difficoltà, quando ci spendiamo per il bene e gli altri non lo capiscono, anzi, quando ci squalificano. No, silenzio e avanti”. E poi ci sono questioni spinose come è il caso dell’aborto. La sentenza della Corte Costituzionale degli USA ha spiazzato un po’ tutti i fronti progressisti occidentali. I vescovi americani a grande maggioranza conservatori hanno espresso plauso e sostegno alla sentenza. Più problematica la Pontifica Accademia della Vita che potrebbe ancora tornare in argomento. Dopo cinquant’anni, secondo l’Accademia vaticana “è importante riaprire un dibattito non ideologico sul posto che la tutela della vita ha in una società civile per chiedersi che tipo di convivenza e di società vogliamo costruire”.

Nel concreto si tratta di sviluppare “scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza a favore della vita senza cadere in posizioni ideologiche aprioristiche”, quindi “assicurare un’adeguata educazione sessuale, garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti e predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità, superando le disuguaglianze esistenti”.

Al contempo occorre “una solida assistenza alle madri, alle coppie e al nascituro che coinvolga tutta la comunità, favorendo la possibilità per le madri in difficoltà di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita”. Non è un mistero che i temi e i problemi attinenti la famiglia, la sessualità, la vita in genere vedono distanti società democratiche e Chiesa cattolica. Francesco ha messo da qualche anno in cantiere un percorso di revisione per superare la semplice normativa canonica generale per una visione più vicina ai casi concreti della gente. “Ci vuole coraggio – ha detto ad esempio il papa al decimo incontro mondiale delle famiglie – per sposarsi. Vediamo tanti giovani che non hanno il coraggio di sposarsi, e tante volte qualche mamma mi dice: “Ma, faccia qualcosa, parli a mio figlio, che non si sposa, ha 37 anni!”. “Ma, signora, non gli stiri le camicie, incominci lei a mandarlo un po’ via, no? che esca dal nido”. Perché l’amore familiare spinge i figli a volare. (…) Non è possessivo: è di libertà, sempre. E poi, nei momenti difficili, nelle crisi – tutte le famiglie ne hanno, di crisi – per favore non prendere la strada facile “torno da mamma”: no. Andate avanti, con questa scommessa coraggiosa”.

Fonte: Tiscali Notizie

Ucraina: Serracchiani, ‘un balzo in epoca che pensavano tramontata’

 

 

“Mai come oggi ci sembrano vicini i valori di chi ha combattuto per la libertà e ci ha donato la democrazia. La guerra d’aggressione decisa a freddo e scatenata senza freno contro la popolazione inerme dell’Ucraina ci ha fatto fare un balzo nel tempo, in un’epoca che pensavamo definitivamente tramontata, perché un dittatore vuole imporre con la forza delle armi il suo dominio su una nazione indipendente”. Lo ha affermato la capogruppo del Pd alla Camera, Debora Serracchiani, intervenendo a Bosco Romagno di Cividale del Friuli (Udine) alla cerimonia commemorativa dei partigiani della Brigata Osoppo fatti prigionieri alle malghe di Porzus nel febbraio 1945 e uccisi nei giorni successivi nei pressi del bosco.

“Non c’è spazio per gli equivoci –ha aggiunto l’esponente Dem- inseguiremo la pace con tutte le forze ma tocca a noi, all’Europa per prima, aiutare una giovane democrazia che si oppone a forze soverchianti”.

Fonte: Il Tempo

Ucraina: 140.496 i profughi giunti finora in Italia

Ultimo aggiornamento: Domenica 26 Giugno 2022, ore 13:41
In prevalenza donne e minori, sono diretti principalmente a Milano, Roma, Napoli, Bologna

Sono 140.496 le persone in fuga dalla crisi bellica in Ucraina giunte finora in Italia, 133.176 alla frontiera e 7.320 controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia.

Rispetto al totale, 74.182 sono donne, 21.881 uomini e 44.433 minori. Le città di destinazione dichiarate all’ingresso in Italia sono ancora Milano, Roma, Napoli e Bologna.

La differenza di ingressi, rispetto a ieri, è di 271 persone.

Fonte: Ministero dell’Interno

Africa, Coulibaly (Rete coltivatori): “Basta fake news, non ci serve il grano ucraino”

Ibrahima Coulibaly, coltivatore, allevatore e attivista originario del Mali, interviene a Coopera 2022: “L’Africa non morirà di fame semplicemente perché non fonda la propria alimentazione sul consumo e l’importazione di grano, né dall’Ucraina né dalla Russia”

 

 

ROMA – Sull’Africa pesano scelte politiche dannose, prese altrove, e ora pure notizie false, come quelle su una crisi alimentare dovuta al conflitto in Ucraina: a denunciarlo è Ibrahima Coulibaly, presidente della rete dei coltivatori Réseau des Organisations Paysannes et des Producteurs des pays Agricoles de l’Afruique de l’Ouest (Roppa). Riflessioni, le sue, affidate a un’intervista con l’agenzia Dire a margine di Coopera 2022, la conferenza italiana della cooperazione allo sviluppo che lo ha visto tra i relatori.

“Quella del continente è una situazione paradossale“, sottolinea Coulibaly, coltivatore, allevatore e attivista originario del Mali, della regione di Koulikoro. “L’Africa è molto ricca anche dal punto di vista dell’agricoltura per via delle terre e dei tanti giovani di valore, ma c’è stato un indebolimento del settore primario a causa di cattive politiche adottate dopo le indipendenze nazionali e anche di pressioni esterne in favore della liberalizzazione e dell’apertura delle frontiere, volute sin dagli anni Ottanta del secolo scorso dal Fondo monetario internazionale”. Secondo Coulibaly, “ora tante famiglie hanno difficoltà persino a nutrirsi“, con conseguenze dirette anche sulla sicurezza e la pace sociale.

C’è allora un appunto, che ha a che fare con il rapporto tra globale e locale. “Al di fuori delle città, l’Africa ha abitudini alimentari basate sulle produzioni del posto, che hanno peraltro proprietà nutrizionali eccellenti”, spiega Coulibaly. La sua tesi è che i governi subsahariani abbiano mancato negli investimenti necessari al settore. Allo stesso tempo peserebbero però condizionamenti internazionali, politici e in qualche misura anche mediatici. “Penso a quanto è stato detto e scritto dopo l’aggravarsi del conflitto in Ucraina, nel febbraio scorso” chiarisce Coulibaly. “Se i Paesi della sponda sud del Mediterraneo dipendono in modo significativo dal grano per la dieta nazionale, questo non è affatto vero per la regione subsahariana: l’Africa non morirà di fame semplicemente perché non fonda la propria alimentazione sul consumo e l’importazione di grano, né dall’Ucraina né dalla Russia“.

Secondo il presidente della Réseau, “ci sono aumenti dei prezzi dovuti ai rincari di carburante e di alcune materie prime, ma i mercati locali continuano a essere approvvigionati”. Il messaggio chiave allora, affidato all’intervento dal palco di Coopera, è che aiutare vuol dire stare al fianco rispettando le autonomie, le culture e le colture. “L’agricoltura africana si basa sul diritto alla terra, all’acqua, alle sementi e ai mercati locali, che oggi purtroppo sono invasi dai prodotti di importazione” denuncia Coulibaly. “Non garantire questi diritti può significare spingere i giovani verso la violenza o l’estremismo, con il rischio di un inasprimento dei conflitti, in Mali, nel Sahel e in altre regioni dell’Africa”.

Fonte: Agenzia Dire

 

 

Si è tenuta nei giorni scorsi una speciale visita all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, di Renato Zero e padre Enzo Fortunato, a nome dei frati di Assisi, dove è stato presentato il progetto sostenuto dall’evento solidale “Con il cuore, nel nome di Francesco” a favore del Centro di cure palliative pediatriche al quale sono stati donati una centrale di monitoraggio e un ecotomografo. Presenti tra gli altri: la presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, il Segretario Generale della Fondazione Bambino Gesù, Francesco Avallone, e il fondatore della cooperativa Auxilium, Angelo Chiorazzo.

«L’impegno a tradurre in gesti concreti quello che le persone hanno donato a Con il Cuore – ha dichiarato Padre Enzo Fortunato -. Renato Zero ha partecipato a molte edizioni dell’evento solidale e non ha voluto nulla per sé, e lo scorso anno mi disse: facciamo una donazione ai piccoli pazienti del Bambino Gesù. E così è stato. Lenire la sofferenza è il primo compito, da essa s’impara molto». «Con l’ausilio della comunità francescana continuiamo questo viaggio verso l’infanzia, ha dichiarato Renato Zero, per consegnare loro la nostra carezza, la nostra benedizione e soprattutto questo supporto alla ricerca, per fare in modo che questi bimbi godano di una protezione che gli consenta di diventare a loro volta degli uomini e delle donne meravigliose».

«Grazie ai frati, a Renato Zero e all’evento Con il Cuore che aiutano e sostengono il Centro di cure palliative pediatriche, nuova struttura dell’Ospedale Bambino Gesù, ha dichiarato Mariella Enoc. Qui i bambini che hanno malattie inguaribili possono essere curati in un ambiente sereno. Possiamo dare loro più benessere, più spensieratezza e far sì che le famiglie siano sempre vicine. Credo che sia un grande segno di amore». Durante l’incontro Renato Zero ha anche svelato un piccolo segreto: «Quando sono nato avevo una grave forma di anemia e fui ricoverato al Bambino Gesù che mi curò. Ho ancora la cicatrice della trasfusione di sangue che mi fu fatta.

Era il sangue di un frate che me lo donò e che non ho mai conosciuto. Forse è per questo che sono così legato ai frati di Assisi e sono grato a questa struttura dalla quale, in fondo, ho ricevuto la vita». Quest’anno i frati del Sacro Convento di Assisi chiedono, con la maratona di beneficenza “Con il Cuore, nel nome di Francesco”, un aiuto per le persone più disagiate e bisognose nel mondo. Verranno aiutate, tra gli altri, le mense francescane in Italia, la popolazione ucraina colpita dalla guerra e le missioni francescane nel mondo.

Per partecipare alla gara benefica basta inviare un sms o chiamare da telefono fisso al 45515. Sostieni “Con il Cuore, nel nome di Francesco d’Assisi”: fino al 31 luglio dona 2 euro al 45515 con un sms da cellulare WINDTRE, TIM, Vodafone, iliad, PosteMobile, Coop Voce, Tiscali. Oppure 5 o 10 euro con chiamata da rete fissa TIM, Vodafone, WINDTRE, Fastweb e Tiscali e 5 euro con chiamata da rete fissa TWT, Convergenze, PosteMobile. Per maggiori informazioni e per sostenere i progetti visita il sito www.conilcuore.info.

Fonte: Vivere Roma

Per tutte le info: info@roma-news.it

Like (1)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *