Covid: meno Imu nel 62% dei Comuni rispetto al 2019
Effetto pandemia sui bilanci. Roma perde 63 milioni ma Milano ne guadagna 3,5
Anche i comuni sono diventati un po’ più poveri con il Covid. I dati della Ragioneria dello Stato lo certificano: nonostante i vari aiuti a fondo perduto e le misure di sostegno alle imprese e alle famiglie la crisi economica scatenata dalla pandemia ha colpito indirettamente anche le entrate delle città e dei paesi italiani.
I numeri sono contenuti in un documento che illustra il gettito delle tasse locali comune per comune, imposta per imposta. Nel caso dell’Imu, ovvero dell’Imposta Municipale Unica, a essere confrontati sono il 2019, l’anno precedente alla pandemia, e il 2021, quello in cui è avvenuto il rimbalzo dell’economia.
Appare evidente come, analogamente a quanto accaduto con il Pil, la ripresa non è stata completa. Anche le entrate Imu non sono riuscite a tornare, nella maggior parte dei municipi italiani, al livello pre-Covid.
In 4.882 comuni la variazione tra 2019 e 2021 è negativa
La Ragioneria dello Stato esamina i numeri di tutti i 7.905 comuni italiani, da Roma e Milano a quelli minuscoli, e il primo dato che spicca è che confrontando il gettito del 2019 e del 2021 vi è stata una riduzione in 4.882, ovvero il 62%. Guardando i dati dal punto di vista finanziario le entrate complessive sono passate da 16 miliardi e 328 milioni a 16 miliardi e 120 milioni.
Per quale motivo? Ovviamente c’entra il Covid e la crisi economia, tuttavia l’Imu non si calcola sui redditi come l’Irpef, ma sul valore dei terreni e dei fabbricati, siano essi abitazioni di lusso, visto che sulle altre prime case c’è l’esenzione, seconde case, o edifici commerciali come negozi o aziende. Si tratta quindi di una grandezza che da un anno all’altro tende a cambiare meno degli stipendi o dei fatturati, ma nonostante questo una recessione come quella provocata dalla pandemia ha causato ugualmente una variazione.
I motivi del minore gettito Imu
I motivi sono molteplici. La crisi economica ha probabilmente aumentato la frequenza di quei casi per cui è previsto uno sconto sull’Imu. Per esempio, sulla seconda in casa si paga il 50% in meno se questa è concessa in comodato gratuito ai figli, o è inagibile, e non collegata alle utenze. Vi è, inoltre, una riduzione del 75% della tassa se l’immobile è affittato con canone concordato.
È plausibile che le peggiori condizioni economiche e la riduzione degli spostamenti abbiano portato, anche nel 2021, sia a questo tipo di locazioni che a un ulteriore aumento dei tanti immobili disabitati e in condizioni da essere esentati dall’Imu. È anche facile che, sempre per la crisi, in più giovani si siano affidati alle proprietà familiari come luogo in cui vivere.
Questi fattori, però, non bastano a giustificare variazioni che, come vedremo, sono state molto importanti per alcune città. Un ruolo decisivo l’hanno avuto anche altri aspetti, in primis le esenzioni varate dal Governo proprio per alleviare la situazione economica dei cittadini.
Le esenzioni per chi ha avuto aiuti a fondo perduto
Per esempio, nel decreto Sostegni del 2021 è stato deciso che professionisti, commercianti e imprenditori che avevano ricevuto aiuti a fondo perduto fossero esentati dal pagamento della prima rata dell’Imu. Sono quelli che hanno subìto i peggiori tracolli a livello di fatturato e quindi di reddito.
Non solo, nella legge di Bilancio 2021 della fine del 2020 il Governo ha stabilito che dal versamento della stessa prima rata venissero esclusi anche alberghi, pensioni, agriturismi, bed & breakfast, discoteche, stabilimenti balneari, cinema, teatri. Questi ultimi due sono stati esentati anche per la seconda rata. Si è trattato di una misura di sostegno per le perdite subite a causa delle restrizioni e delle chiusure imposte in questi anni di pandemia, e che si è aggiunta agli aiuti a fondo perduto già stanziati in precedenza.
Gli aiuti a fondo perduto non sono bastati
Nella stessa Finanziaria è stato anche deciso un dimezzamento dell’Imu per le seconde case di non residenti con pensione estera. In sostanza si è trattato di un modo per attirare pensionati stranieri benestanti e spingerli ad acquistare una proprietà in Italia e soggiornarvi. Nel successivo Sostegni-bis, poi, Governo e Parlamento hanno votato un’ulteriore esenzione, rivolta ai proprietari di un immobile che avevano dato una notifica di sfratto per morosità all’inquilino prima della pandemia. A causa del blocco degli sfratti questo non era stato eseguito e dal 2020 non ricevevano alcun ricavo.
Dove il gettito Imu si è ridotto di più
È quindi evidente come la crisi abbia influenzato anche le entrate Imu dei comuni. Una conferma del collegamento tra il Covid e le variazioni di gettito viene dall’esame dei luoghi in queste sono state più importanti. Tra le città in cui è diminuito di più, infatti, vi sono quelle poste nelle aree più povere del Paese.
Quella che ha sofferto maggiormente è Ragusa, dove i ricavi del comune per l’Imu sono scesi del 13,5% tra il 2019 e il 2021, come si vede dalla nostra infografica. Dopo si posiziona Castellammare di Stabia, in cui le entrate sono calate dell’8%, e Ardea, in provincia di Roma, -7%. La Capitale stessa si posiziona tra i primi 8 grandi comuni per riduzione dei ricavi da questa tassa: meno 63 milioni, ovvero il 4,8% in due anni. Oltre a Roma a vedere le maggiori perdite sono Cerveteri, Aversa, Agrigento, e, unica realtà del Nord nelle prime posizioni, San Donato Milanese.
Abbiamo esaminato qui solo i centri in cui l’Imposta Municipale Unica generava tre anni fa più di 10 milioni l’anno. Se considerassimo anche tutti i piccoli centri a vedere il più grande crollo del gettito, del 57,5%, sarebbe Cosoleto, in Aspromonte, seguita da Pimentel, Sud Sardegna, -42,4%. Riduzioni intorno al 40% anche per i comuni montani di Piateda, in Valtellina, e Stelvio, in Alto Adige.
Tra i paesi un po’ più grandi, con più di un milione di gettito, soffrono Gricignano di Aversa e Maddaloni, in Campania, dove l’Imu ha reso rispettivamente il 38,2% e il 34,5% in meno.
Fonte: Truenumbers
Inps corretta su bonus Covid: tribunale Roma condanna Privacy
Annulla multa, pagherà spese. I controlli scoprirono 5 onorevoli
I controlli e gli incroci effettuati dall’Inps sui percettori del bonus Covid – inizialmente 600 euro dati alle partite Iva con una contrazione degli affari – furono corretti.
E’ quanto ha deciso il Tribunale di Roma che con una sentenza ha annullato una ordinanza del Garante della Privacy, che sollevava sei rilievi e multava l’Inps con 300mila euro.
Il tribunale ha accolto il ricorso dell’Istituto ed ha condannato l’autorità al pagamento delle spese legali. I controlli, nei quali erano incappati anche anche cinque parlamentari che avevano chiesto il bonus, secondo il tribunale hanno usato fonti non riservate.
La sentenza del tribunale ricostruisce la vicenda. “La questione controversa verte intorno alle modalità con cui l’Inps ha eseguito una parte dei controlli di secondo livello in seguito alla erogazione del c.d.
“bonus covid” erogato per disposizione di legge nel pieno dell’emergenza pandemica.
Stante l’esigenza di procedere alla erogazione immediata del sussidio, è stata infatti riservata ad una fase successiva la compiuta verifica dei presupposti per ottenerlo. Sull’assunto che parlamentari ed amministratori regionali e locali ricadano nell’ambito di un regime previdenziale incompatibile con la percezione delle indennità COVID-19, l’Istituto ha operato una verifica estraendo i dati anagrafici dei titolari di incarichi elettivi dalle banche dati della Camera, del Ministero dell’Interno ed in un secondo momento del Senato, ne ha estratto il codice fiscale ed incrociando il dato con i codici fiscali di coloro che avevano presentato domanda per il bonus ha individuato i titolari di incarichi politici che avevano formulato la richiesta”.
Il Tribunale passa in rassegna i singoli rilievi dell’Autorità e alla fine annulla l’ordinanza. “Non potendosi in conclusione condividere alcuno dei rilievi mossi all’ Istituto dall’Autorità Garante – conclude quindi il Tribunale di Roma – il ricorso deve essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza”. Per questo dovrà pagare “1.214 euro di spese processuali e 11.570 per compensi professionali, oltre Iva, cpa e spese generali (15%)”.
Fonte: Ansa
Per tutte le info: info@roma-news.it
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