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Da Roma all’Ucraina, consegnando aiuti e riportando profughi

La missione dell’associazione Manalive in collaborazione con la parrocchia dei Santi Antonio e Annibale Maria, che ha fatto tappa al confine tra Polonia e Ucraina

Un «blitz umanitario», come lo definiscono gli stessi organizzatori, quello compiuto dall’associazione Manalive in collaborazione con la parrocchia dei Santi Antonio e Annibale Maria, che ha fatto tappa al confine tra Polonia e Ucraina per consegnare beni di prima necessità e prestare aiuto ai profughi della guerra. L’idea, racconta il parroco padre Pasquale Albisinni, è partita dall’associazione no profit che prende il nome dal romanzo “Uomovivo” di Chesterton, «alla quale abbiamo prestato il nostro pulmino». Con partenza domenica 6 marzo, la missione è arrivata, dopo oltre 20 ore di viaggio, nella città polacca di Medyka. Dei tre volontari partiti da Roma, «uno – racconta Gianmarco Oddo, presidente dell’associazione – è entrato in territorio ucraino per consegnare i medicinali, mentre in Polonia è stato offerto un viaggio verso l’Italia a sei profughi: quattro donne e due bambini». Si tratta di persone che hanno un contatto diretto a Roma, chi un parente chi un amico, e dunque la possibilità di avere subito un alloggio.

«In particolare – spiega il parroco – quattro di loro staranno da un parente, che però nei giorni scorsi aveva già dato rifugio ad altre due mamme ucraine con due bambini. Per questo motivo -racconta – come parrocchia ci siamo fatti carico di queste persone che erano già a Roma e ora le ospitiamo nella Casa per Ferie “Domus Santa Caterina”, messa a disposizione da un parrocchiano». Si tratta di Irina e Julia, due sorelle con i rispettivi bambini di dieci e sei anni, arrivate sabato scorso in Italia dalla regione ucraina di Leopoli con un pullman.

Nel pomeriggio di martedì 8 marzo, invece, l’arrivo del pulmino con i volontari di Manalive e le persone appena scappate dalla guerra. «Aspettavano lì, al confine, senza una meta, senza sapere se e quando sarebbero partiti – racconta Oddo -. Siamo stati in un centro commerciale ora adibito a campo profughi – racconta -, dove le persone vengono smistate negli ex negozi, ognuno con sopra un numero». I numeri degli stanzoni si riferiscono ai Paesi di destinazione di tutta Europa, «dove questa gente vorrebbe andare. Ci siamo registrati come driver e diretti al n.13», quello riferito all’Italia. «In realtà – racconta – dovevamo incontrare un’altra ragazza con il figlio, ma non sono riusciti a superare il confine per via dei molti chilometri di fila».

Chi invece ce l’ha fatta ed è arrivato a Roma racconta «i salti di gioia fatti quando abbiamo saputo che c’era un passaggio, immediato, per l’Italia», come Anna con il figlio Ivan, arrivati insieme ad altri due membri della loro famiglia da Dnipro, anche se sono originari di Donetsk. «Una gioia indescrivibile leggere il cartello “Italia”», aggiunge invece, in un italiano stentato perché parla solo ucraino, Alina, arrivata con la figlia. Loro sono di Kiev, la Capitale, e come gli altri hanno lasciato in patria mariti e parenti.

In territorio ucraino le scene più crude, raccontate da Filippo Masetti, il volontario dell’associazione che ha oltrepassato il confine per consegnare a un uomo di Boryslav i medicinali. «Gli uomini dai 18 ani 75 anni sono chiamati alle armi, non possono uscire – spiega -, e ci sono oltre 7 chilometri di coda tra chi arriva a piedi e chi in macchina per entrare in Polonia». Entrare, ovviamente, non è difficile, «dopo un breve controllo passaporto e di ciò che portavo – racconta – mentre ritornare è stato più lungo, perché anche se ero entrato come volontario i controlli sono serrati, per evitare il passaggio di mercenari, armi o addirittura droga». Ma sono le immagini di chi scappa che descrivono ciò che è realmente una guerra. «Ho visto donne con i figli attraversare la neve, abbandonare zaini e valigie perché stremati e troppo stanchi. Ho lavorato con questa associazione in altri contesti, di povertà e del Terzo Mondo – racconta – ma ciò che ho visto in questi giorni è diverso perché c’è proprio un clima di fuga, la voglia scappare il prima possibile e in ogni modo».

Fonte: Roma Sette

Per tutte le info: info@roma-news.it

 

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