Berrettini e quel peccato di impazienza
L’attimo fuggente La leggerezza perduta di Matteo, un diritto lungolinea giocato sul 15-30 servizio Nadal e finito in rete. E quella domanda a Santopadre: “Giusto?”
Se è vero che l’anima pesa 21 grammi, Matteo Berrettini arriva al dunque con lo spirito un po’
affaticato: 23 sono i punti consecutivi sul suo servizio che improvvisamente si interrompono, 23 i
colpi dello scambio che gli permette di sopravvivere al primo match-point (travestito da palla-break,
ma lo riconoscono tutti).
Di lì a poco Rafa Nadal, al culmine di una prestazione immensa, coglierà il secondo per poi
chiudere a braccia alzate. Ma è la repentina pesantezza dell’anima di Matteo a risolvere il rebus, che
da trasparente che sembrava nei primi due set s’era ingarbugliato non poco, per poi girare ancora
nel settimo game del quarto set. È quello, l’attimo fuggito a Berrettini.
Il quarto punto, ad aumentare il dettaglio del microscopio puntato sul match. Un dritto lungolinea
che finisce in rete sul 15-30 servizio Nadal, un peccato di impazienza che Matteo sottolinea
rivolgendosi a Vincenzo Santopadre, suo coach e mentore, con una domanda gridata: “Giusto?”.
Era giusto rischiare quel colpo, o avrebbe dovuto aspettare un’occasione migliore?
Preso a pallate per due set dal formidabile spagnolo, implacabile sui punti deboli dell’avversario
come nei giorni migliori, Berrettini aveva rivolto decine di sguardi interrogativi al suo allenatore in
uno straziante scambio di impotenze: Matteo subiva in campo (6-3 6-2 i primi due set) e Vincenzo,
che non aveva risposte a una crisi in larga parte indotta dalla perfezione tattica di Nadal, si
masticava l’anima come la madre che nulla può davanti all’improvviso mal di denti del bambino.
Poi, all’ennesimo colpo contro un muro che pareva inscalfibile, è caduto un primo calcinaccio.
Poi un secondo. E un terzo. E al primo break la sensazione che qualcosa in Nadal si stesse
sgretolando è stata impetuosa.
Allora Vincenzo ha rimarcato un portentoso dritto sulla linea del suo pupillo col gesto che si riserva
alle giocate di gran qualità, e per una ventina di minuti è stato tutto un caricarsi a vicenda fra allievo
e maestro, col servizio che fluiva e lo spagnolo che si rifugiava negli angoli più lontani del campo per
guadagnare ai suoi colpi un po’ di tempo in più. È durato poco, ma è stato un attimo fuggente di
suprema intensità e bellezza. Un attimo fuggito su quel “giusto?” al quale Santopadre probabilmente
ha risposto sì – la telecamera non l’ha inquadrato – nel tentativo di non spezzare il flusso di
entusiasmo di Matteo, ma consapevole che la risposta esatta era un no, come Nadal di lì a poco
avrebbe certificato. Giocare contro un simile fuoriclasse equivale a camminare su una corda tesa tra
due grattacieli: 21 grammi sono l’equilibrio perfetto, a 23 pendi impercettibilmente da una parte, e
cadi.
Fonte: La Repubblica
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