vota la trippa

Vota la trippa!

Vota la trippa! Ma prima devi sapere cos’è e come cucinarla

Fra le tante gastromode, ce n’è una che sembra non conoscere battute d’arresto ed è quella del

quinto quarto, di cui la trippa è la più illustre rappresentante.

La regina delle frattaglie può contare su schiere di adepti, appassionati della consistenza callosa e

del gusto peculiare, sebbene sia capace di assorbire i sapori di quel che la circonda.

Come è fatta:

Per definizione, la trippa è composta dai prestomaci dei ruminanti, gli organi che fanno da

“anticamera” della digestione vera e propria che avverrà nello stomaco.

Proseguo il ripassino di anatomia dicendoti che la trippa di bovino, in assoluto la più comune, è a

sua volta formata da quattro parti diverse.

Il rumine è la più spessa, dalla superficie regolare. Il reticolo o cuffia presenta la caratteristica

struttura a nido d’ape. L’omaso, altrimenti detto foiolo, centopelli o libretto, è percorso da

lamine sottili. L’abomaso, infine, è simile a un groviglio di nastri e di colore scuro: in molti

pensano sia già intestino, mentre per i gourmand è solo il lampredotto fiorentino.

Ormai tutta quella che compri è prelessata e trattata, bianca e pronta da cucinare a casa con

tempi abbastanza rapidi, intorno ai 30-40 minuti.

Questo, a meno di non avere un macellaio specializzato che ti dà la cosiddetta trippa grigia, pulita

ma non sbianchita né lavata.

Molto più intensa nel gusto, vorrà una lessatura di almeno 3 ore prima di essere rifinita con sughi e

altri ingredienti.

Ciò detto, come tutte le gastromode, accanto alla tradizione ci vuole l’innovazione, no? Quindi, vado

a raccontartele entrambe.

La tradizione è in umido:

Quel che rimane dalla macellazione della bestia intera ha storicamente riempito le pignatte delle

cucine “povere” e le pance dei popolani.

Alcuni di questi scarti, come le animelle, sono oggi considerati alla stregua di cibi di lusso (e venduti

a prezzi di conseguenza). Mentre la trippa, per nostra fortuna, ha conservato la sua natura umile,

perfettamente interpretata dalle ricette della tradizione, che sono essenzialmente in umido,

piuttosto brodose, quasi delle zuppe, da accompagnare con fette di pane casereccio o polenta.

A parte il lampredotto, che costituisce caso a sé, le ricette in genere sono democratiche nel

mescolare le tre tipologie di trippa, affettate a striscioline più o meno sottili, secondo gradimento

personale.

Sempre generalizzando, la base è il classico sedano-carota-cipolla, mentre il sugo è preparato

con pelati o passata.

Piccolo inciso: a dispetto di quel che si crede, di per sé la trippa non è più grassa di un filetto,

attestandosi intorno alle 100 calorie per etto.

Quel che la rende “robusta” è che si presta a intingoli ricchi, grondanti di condimenti. Ma chi siamo

noi per spaventarci davanti a un soffritto, un giro di olio buono, un battuto di lardo o guanciale?

Città che vai, trippa che trovi:

Roma la trippa si cucina con il pomodoro, il pecorino e, non di rado, proprio un fondo di

guanciale, quando non un soffritto dorato nello strutto.

Per (tentare di) bilanciare tanta roba, viene in aiuto la freschezza della menta romana.

Fonte: Dissapore

Per tutte le info: info@roma-news.it

 

 

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